C’era una volta un gufo con gli occhiali. Il mondo per lui era rotondo e perfetto visto da lì. Erano così tondi che nemmeno i suoi occhi – tondissimi – eguagliavano la rotondità delle lenti. E le lenti erano di ottima fattura, neanche una scheggia.
Era un cucciolo di gufo, per essere precisi. E la mamma gufa gli aveva imposto di mettere gli occhiali perché si era accorta che il poverino andava a sbattere da tutte le parti. Ora, la preoccupazione di questo piccolo gufo era che una volta diventato grande gli occhiali, durante un volo, sarebbero caduti e lui si sarebbe schiantato contro un albero, o peggio un palazzo.
Passò il tempo e il gufo crebbe e fu un adulto. Arrivò il momento di volare e gli occhiali erano ancora lì, a rendere il mondo bello e lucido, appoggiati sul suo becco. Successe tutto quello che aveva previsto. Partì, volò, si schiantò prima contro un albero e poi contro un palazzo. Caddè e perse gli occhiali. Non trovò più la strada di casa, ma quello da tenere in conto. Camminò per ore fino a che, esausto, si rifugiò, arrampicandosi a fatica, sotto a un lampione. Lì una voce lo raggiunse.
– Chi sei?
– Un gufo, e tu?
– Sono un pipistrello e che ci fai qui?
– Ho perso la strada di casa e pure gli occhiali: non vedo niente.
– Anche io non vedo niente, ma ho il radar.
-Beato te, lo vorrei avere anche io.
– Potrei insegnarti, non è poi così complicato, basta seguire l’istinto.
– La fai facile, ma non ho scelta: insegnami!
Alla fine il gufo imparò a volare senza vedere, ma non si dava pace: voleva ricambiare l’aiuto del suo amico e così, dopo tanti tormenti, gli chiese:
– Cosa posso fare io per te?
– Poco o niente.
– Dai, sforzati, come posso ricambiare?
– Una cosa ci sarebbe: vorrei qualcuna delle tue piume, pensi sia possibile? O ti farebbe troppo male staccartele?
Il gufo si sentì sollevato: nessun male, anzi. Era finalmente contento di poter offrire qualcosa al suo amico. Se le staccò e gli stavano bene, come se fossero sue.